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"Dalla parte delle vittime".
L'editoriale di don Renzo Beghini

 

A conclusione del programma 2025, la Scuola di Pace e Nonviolenza della nostra diocesi ha promosso e organizzato dal 20 al 24 agosto, un viaggio in Lituania e precisamente nella capitale Vilnius. Lo scopo era incontrare una comunità di esuli dalla Bielorussia che regolarmente si ritrova in un centro aperto chiamato – non a caso – “Peace-Our House” promosso e animato dall’attivista Olga Karach che già abbiamo avuto occasione di conoscere durante la visita di papa Francesco in Arena e l’udienza con papa Leone in Vaticano del maggio scorso. 

L’impressione comune dei partecipanti è stata ben sintetizzata da papa Leone nell’udienza del mercoledì 20 agosto in cui ha lanciato la giornata di preghiera e digiuno: “La pace non è un’utopia spirituale: è una via umile, fatta di gesti quotidiani, che intreccia pazienza e coraggio, ascolto e azione. E che chiede oggi, più che mai, la nostra presenza vigile e generativa”. 

Ascoltare le vittime. È stato il filo conduttore dei giorni trascorsi a Vilnius. È ciò che abbiamo fatto ogni giorno, alla Peace House di Vilnius. Julia, Sergej, Natalia, Elena, Nikita, Gleb, … hanno raccontato le loro storie di vita, storie di oppositori politici perseguitati, costretti a fuggire dalla Bielorussia per salvare la vita. Storie di arresti, pestaggi, torture, fughe. E quando si erano illusi di aver trovato riparo, libertà, diritti, per potersi ricostruire una vita (in Lituania, in Europa …), è iniziata invece una nuova odissea, fatta di rifiuti, minacce, diritti negati, con il rischio di essere riportati nell’inferno da cui sono fuggiti. 

Oggi sono profughi in esilio, senza documenti, senza lavoro, senza alloggio. In Bielorussia erano professionisti, avevano una famiglia, affetti, una casa, una vita normale. La diaspora degli oppositori del regime dittatoriale di Lukashenko, è una realtà che l’Europa non vede e non vuole vedere. Our House è il loro unico rifugio a Vilnius. Lì trovano vestiti, cibo, generi di prima necessità, ma soprattutto trovano ascolto, rispetto, dignità. Per alcuni di loro era la prima volta che riuscivano a parlare, a raccontare, a liberarsi del peso di ciò che hanno subito: la violenza fisica e psicologica che hanno subito sulla propria pelle e anima. Ora chiedono solo il diritto di potersi ricostruire un’esistenza dignitosa. Chiedono asilo politico per poter avere i documenti di identità, e dunque un lavoro, una casa, l’assistenza medica, la scuola per i figli… Ma la burocrazia, l’ottusità, il disinteresse, il non riconoscimento e quindi l’esclusione, li lascia in un limbo e li riduce all’invisibilità. L’istanza di richiedente asilo, di riconoscimento della protezione internazionale, il documento di cittadinanza non arriva mai e rimbalza tra commissione immigrazione, centri di detenzione, tribunali e uffici.

Durante la conferenza stampa, Massimo Valpiana co-direttore della scuola e presidente del movimento non violento, Daniele Taurino di EBCO-BEOC, Margo Vorykhava di Cabinet Belarus, Olga Karach di Our House e don Renzo Beghini della scuola di Pace, hanno espresso la convinzione che è fondamentale sostenere un nuovo approccio alla pace. «Il modo più efficace per fermare la guerra, salvare vite e ristabilire la pace è che gli uomini rifiutino la guerra. Possiamo fermare la guerra solo se tutti gli uomini di Russia, Bielorussia, Ucraina non vanno in guerra. È il modo più efficace per fermare la guerra. È il modo più economico per salvare vite e riportare la pace» (Taurino). La presenza di armi nucleari tattiche russe in Bielorussia dal 2023 è fonte di grave preoccupazione spesso sottovalutata dall’Europa. La crescente militarizzazione e nuclearizzazione è un “processo molto tossico e pericoloso” (Valpiana).

Olga Karach ha espresso preoccupazione per la “bielorussizzazione dell’Europa”, ovvero la diffusione in Europa orientale e nei paesi baltici di tendenze repressive simili a quelle in corso in Bielorussia. Ha evidenziato quanto sia facile perdere la democrazia e quanto siano precarie le condizioni dei rifugiati bielorussi e russi in Lituania: “i bielorussi non sono al sicuro in Lituania e non sentono di aver ricevuto tutta la protezione necessaria”. Molti rifugiati bielorussi arrivano in Lituania dopo essere stati torturati in prigione e aver perso tutto, ma si ritrovano ad affrontare nuove difficoltà e completamente abbandonati a se stessi. Il caso di Nikita, un disertore bielorusso di 19 anni che rischia la pena di morte se estradato, è un esempio lampante delle gravi conseguenze: “la sua richiesta di asilo politico è stata rifiutata. In Lituania è illegale da più di un anno e può essere deportato in Bielorussia in qualsiasi momento, dove rischia la pena di morte”. È questa l’Europa che vogliamo? 

In Bielorussia, le scuole insegnano una storia revisionista e preparano i bambini all’aggressione dall’Occidente. I giovani vengono indottrinati e costretti a partecipare ad attività militari, rendendo difficile resistere a questa propaganda che fa il lavaggio del cervello (Margo Vorykhava). Lo stesso fenomeno della militarizzazione dell’istruzione sta avvenendo in Europa. 

La solidarietà internazionale, che si concretizza in missioni come quella di questi giorni, è fondamentale per mantenere la speranza e la capacità di resistenza degli attivisti e dei movimenti di pace bielorussi. Per questo, gli incontri e il sostegno da parte di gruppi internazionali sono una fonte vitale di ispirazione. E gli obiettori bielorussi sono immensamente grati per la presenza della delegazione italiana. È essenziale creare spazi transnazionali di democrazia, dialogo e resistenza contro la crescente spesa militare e la “militarizzazione della società”. 

Da questa missione la cosa più bella che ci portiamo a casa è l’amicizia e il legame profondo che si è creato con le persone bielorusse che abbiamo conosciuto: sono vittime della violenza del militarismo, ma sono piene di dignità e determinazione a lottare per i valori di libertà e fraternità. Non abbiamo mai sentito da parte loro nemmeno una parola d’odio per chi li ha perseguitati e perfino torturati, ma solo la voglia di tornare a vivere come persone libere, in pace.

In questo breve diario delle giornate passate a Vilnius, abbiamo sottolineato prevalentemente gli aspetti politici. Ma vi sono stati molti momenti conviviali che hanno reso speciale e indimenticabile questa missione, in cui abbiamo potuto apprezzare l’ospitalità bielorussa, fatta di cibo preparato con cura, di brindisi con le loro bevande tradizionali, di racconti divertenti e di grande ironia circa gli aspetti più ridicoli e paradossali della dittatura da cui sono fuggiti. L’amore per la loro terra è fatto di nostalgia e di lotta. Ci hanno reso partecipi di tutto questo, e li ringraziamo dal profondo del cuore.

don Renzo Beghini – Massimo Valpiana

 

“Nei giorni trascorsi a Vilnius ho potuto ascoltare e conoscere le storie di uomini e donne fuggiti dalla Bielorussia che cercano faticosamente e dolorosamente una propria legittimità come persone, ma anche come soggetti politici difensori dei diritti umani per sé e per gli altri esuli. Our House è un luogo sicuro dove trovare il calore umano che serve per ricostruirsi dopo torture, persecuzioni poliziesche e fughe pericolose. È il luogo dove ritrovare lo spirito fondativo dell’Europa che ormai sembra soccombere a logiche nazionalistiche e sovraniste. Olga e i suoi amici sono i nuovi partigiani che resistono e lottano in modo nonviolento. Ascoltiamoli e impariamo da loro.”

(Agostino)

“Le richieste della campagna internazionale ObjectWar, sostenuta da più di 120 associazioni, fra cui il Movimento Nonviolento, chiede che l’Unione Europea riconosca lo status di rifugiati politici agli obiettori di coscienza, disertori e profughi bielorussi, che dalla Lituania attendono in un limbo giuridico in centri per profughi la valutazione delle richieste d’asilo, e anche a chi si rifiuta di combattere in Russia e in Ucraina. In un contesto globale sempre più complesso e militarizzato nel quale in vari paesi europei riemerge la leva obbligatoria come conseguenza delle guerre in corso, chiediamo “il rispetto anche in tempo di guerra del diritto all’obiezione di coscienza e la cessazione della propaganda bellica”.

(Daniele)

In Lituania ho conosciuto una giovane donna che vive in esilio che cerca di aiutare come può i profughi bielorussi che scappano da un regime poliziesco che li ha costretti a lasciare le loro case e le loro famiglie dalla notte al giorno, per evitare ingiuste condanne. Sono persone altamente qualificate con una o più lauree, costrette a fare lavori umili e pericolosi in nero, per sopravvivere. Gran parte di quello che guadagnano lo spendono per pagare gli avvocati, ma ora sembra che si sia creato un business per cui la causa viene persa e vengono arrestati per qualche giorno e tutto ricomincia. Lo hanno definito “il secondo livello dell’Inferno” perché mai e poi mai avrebbero creduto di non trovare accoglienza in quanto profughi politici. Scampati alle torture e ai soprusi, rinunciando a tutto quello che avevano, hanno raggiunto la Lituania a piedi o a nuoto con null’altro addosso che i loro vestiti.  Noi eravamo lì per non farli sentire soli e perché pensiamo di avere il dovere di renderli finalmente visibili. Perciò raccontate la loro storia! Alzate le antenne e fate tutto quello che è in vostro potere. Ho visto nei loro occhi riaccendersi la speranza che qualcuno possa finalmente interessarsi a loro e non voglio deluderli!

(Paola)

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